Tatuatrice, illustratrice e, soprattutto, Donna! In passato è stata più volte ospite del nostro studio ora vive e lavora in California, ha fatto un libro di ricette tutte Vegane e noi dal canto nostro abbiamo deciso di intervistarla. Ecco a voi Miss Cecilia Granata.
Ciao cara, benvenuta sul nostro blog! Partiamo subito con la tua carriera da tatuatrice, com’è essere oggi una donna e stare a contatto con il mondo del tattoo?
Essere donna è sempre un po’ più complicato, non solo perché siamo campionesse di seghe mentali e ansie improbabili, ma soprattutto perché esiste un tessuto sociale ancora fortemente strutturato sul modello patriarcale che si esprime attraverso linguaggi inappropriati (sottilmente avvilente, spesso offensivo, condiscendente o per usare una perfetta parola in inglese, “patronizing”) e in comportamenti più o meno gravi. Devo dire che ho iniziato a tatuare in un’epoca piuttosto aperta alla presenza femminile, anche se ancora prevalentemente maschile, quindi forse il mio discorso non riguarda nello specifico il settore del tatuaggio ma qualcosa di più generale. Il primo studio dove ho lavorato era frequentato da una clientela più che altro maschile e specificatamente legata al giro delle palestre. L’impronta era spesso e volentieri sessista, omofoba e razzista, espressa in discorsi, battute e opinioni allucinanti. Se devo trarre un giudizio però, devo dire che forse questa particolare espressione di machismo è quella che mi spaventa meno, in parte perché ridicola e umanamente avvilente per l’artefice più che per le destinatarie, in parte perché più riconoscibile e quindi gestibile (almeno nel contesto di uno studio di tatuaggi). Lo studio dove lavoro al momento è invece di proprietà di una donna, femminista radicale tra l’altro, e per la maggior parte al Sacred Rose siamo donne, streghe e sirene, quindi l’ambiente è rassicurante, rispettoso e stimolante. Karen, la proprietaria, è una tatuatrice della generazione precedente, che ha invece dovuto farsi strada con fatica per affermarsi e ottenere credibilità in questo ambiente. Leggevo recentemente un’intervista a Stephanie Tamez, altra grande artista della costa Orientale, in cui affermava qualcosa di molto vero che mi sento di citare: «I would say the disadvantage (of being a female artist) is that as a woman I have to work twice as hard to prove myself in a largely male- dominated field, and the advantages are that by working harder I have become a better tattoo artist.»
Come mai la scelta di trasferirti in America, ad Albany di preciso, partendo da Verona? Come ti trovi a livello lavorativo negli States?
In effetti vivo e lavoro a Berkeley, non Albany, a poche fermate di metropolitana da San Francisco e sede delle prime rivoluzioni studentesche. Ho sempre girato molto, spostandomi da Verona, a Pavia, Milano, poi NY per l’università, nuovamente Milano e quest’ultima volta, nel 2013, ho semplicemente seguito mio marito e il suo lavoro in California. Non avevo un piano prestabilito ma ho presto trovato una nuova tattoo family al Sacred Rose Tattoo. La differenza con l’Italia per quanto riguarda il lavoro, è purtroppo evidente, e me ne rammarico molto perché per tutto il resto preferisco di gran lunga l’Europa. Le opportunità disponibili negli Stati Uniti sono davvero infinite, è sempre possibile re-inventarsi e avere successo. Scrivo proprio dalla culla del boom della start-up, dove con una buona idea, iniziativa e un po’ di tattica, puoi diventare miliardario a vent’anni. C’è da dire però che nelle professioni “tradizionali” il discorso è un po’ più controverso poiché non esiste praticamente alcun tipo di tutela, quindi è facile trovarsi senza lavoro da un giorno con l’altro. Ma è anche vero che è relativamente semplice trovarne uno nuovo, al contrario della disoccupatissima Italia.
Per quanto riguarda i tatuaggi in realtà l’unica differenza che percepisco davvero è nel rapporto più professionale che mi trovo ad avere con i clienti, abituati a un codice di comportamento più rispettoso, ad esempio non giocando al ribasso sul prezzo manco fossero al mercato. Quando lavoravo a Milano la battuta che girava quotidianamente in studio era «ma quanto me le fai al kilo le letterine?». Qui non mi sono mai trovata in una situazione neanche vagamente simile. Parlando di illustrazione invece, la differenza sta sicuramente nelle numerosissime opportunità, applicate a molti campi diversi (musica, cinema, editoria, skateboards, magazines, ecc) e nella retribuzione adeguata. Da’ la misura il fatto che ho trovato un editore per il mio libro nel giro di pochi mesi.
In generale gli USA sono una società piuttosto meritocratica anche se spietata; giocandosi bene le proprie carte è davvero possibile farcela non dovendo passare attraverso raccomandazioni e nepotismi, tristemente tipici del nostro sistema.
Se dovessimo venirti a trovare cosa ci consiglieresti di vedere?
Balene, orsi e sequoie! La parte più spettacolare della California è la natura, varia, ancora selvaggia e davvero mozzafiato. Gli spazi incontaminati sono vasti, la fauna vive indisturbata e protetta. Le misure di tutela sono infatti molto rispettate, ci si rende perfettamente conto del valore infinito di questo patrimonio meraviglioso. Anche senza arrivare fino ai grandi parchi, semplicemente a 10 minuti da casa mia -e vivo in una zona assolutamente urbana- si estende una enorme distesa naturale dove è frequente incontrare coyote, cervi, procioni e addirittura una specie di puma! Per non parlare poi delle Balene, visibili a decine dalla costa nei periodi di migrazione. Un giro che consiglio a chi ci viene a trovare è il classico (ma sempre apprezzatissimo) San Francisco – Yosemite – Sequoia Park – Death Valley e poi lo scenografico ritorno passando dalla Highway 1, lungo una costa di grande effetto.
Le città sono invece mediocri, a cominciare da Los Angeles, che personalmente trovo inutile e insopportabile, fino a San Francisco, carina ma decisamente sopravvalutata, almeno negli ultimi anni. Il processo di gentrificazione dovuto soprattutto allo sviluppo delle grandi tech dagli stipendi stellari, ha incrementato il divario ricchi/poveri (già presente in questa cultura individualista e altamente privatizzata) in maniera esponenziale. Ha trasformato la città in una enorme tendopoli popolata di anime in pena dalle vene gonfie di meth e l’alito inquinato d’alcol. Il degrado è davvero spaventoso, il sistema Americano non prevede alcun tipo di assistenza, sanitaria o psicologica. I (numerosissimi!!!) malati di mente “molesti” non vengono ospedalizzati ma al massimo incarcerati. Interessante a proposito un documentario visibile su Netflix intitolato Skid Row.
Oltre ad essere una tatuatrice sei anche illustratrice e hai all’attivo un libro tutto tuo di ricette vegane. Com’è stato il tuo viaggio all’interno dell’editoria?
A cominciare dalla laurea in Illustrazione nel 2007, ho sempre coltivato questo percorso parallelamente al tatuaggio. L’esperienza con l’editoria è nata ancora in Italia collaborando con Agenzia X su alcune pubblicazioni. Quando poi mi sono trasferita in California nel 2013, ho deciso di sottoporre un intero manoscritto, il mio ricettario illustrato, a una serie di case editrici. Il processo è stato davvero semplice: dopo una ricerca su misura per capire chi avrebbe potuto essere interessato al mio progetto, ho seguito le varie linee guida per proporre un’idea (reperibili sui siti internet di ogni casa editrice) e aspettato una lettera di risposta come nei film. Ho avuto successo con Microcosm, piccola casa editrice indipendente di Portland (Oregon), molto orientata su contenuti di matrice politica, etica e sociale. Una volta accettato il progetto e stabilito alcune piccole modifiche, il processo è stato molto fluido e spedito. La mia impressione, forse semplicemente suggerita dall’esperienza personale, è che l’editoria negli Stati Uniti sia un settore più vivace, accessibile, aperto, giovane e sicuramente meglio retribuito.
Parlaci un po’ di Mama Tried, da dove nasce la voglia di fare un libro di ricette?
L’idea è nata quando ero ancora una studentessa di Illustrazione in università a New York, dalla mia ossessione per l’alfabeto e qualunque cosa in ordine alfabetico; decisi quindi di usarlo come base per uno dei miei progetti artistici. Il processo creativo comincia generalmente dalla selezione di un tema, un argomento che ci interessa per qualsiasi motivo, e da li inizia un’esplorazione volta a tradurlo visivamente secondo varie linee guida autoassegnate. A quanto pare una delle cose che mi interessavano maggiormente era il cibo, il che mi pare più che legittimo, e questo di base era l’intero concetto: avrei realizzato una collezione di ricette – vegane -, perché avevo un messaggio, – Italiane – perché non si sbaglia mai col cibo Italiano, – illustrate -, perché da qualche parte nel mio progetto artistico dovevo tutto sommato infilare dell’Arte, e in ordine alfabetico, in modo che ogni capitolo fosse una lettera e contenesse solo ricette il cui titolo iniziasse con quella lettera. Il che ovviamente non lo rende particolarmente tradizionale o logico, ma evidentemente all’epoca decisi di dare più credito al mio lato creativo piuttosto che al mio lato razionale di persona che sta scrivendo un libro, e questo è il risultato. Dunque l’idea di fatto era semplicemente di combinare due delle cose migliori della vita, arte e cibo (naturalmente ne manca una ma sono riuscita a coprirla: un intero capitolo del libro è dedicato a ricette afrodisiache!). Inizialmente non si trattava di tattoo flash ma di semplici illustrazioni ma, a un certo punto, mi sono resa conto di quanti broccoli e carote mi capitava di tatuare: posizionandomi come tatuatrice Vegan, in molti si rivolgevano a me per un tatuaggio a tema animalista o semplicemente un tatuaggio senza “ingredienti” animali, proprio come per il cibo. Mi sono resa conto che veganesimo e tatuaggi forse non sono due mondi così distanti come si potrebbe pensare, e ho deciso di sfruttare l’iconografia fresca e intrigante dei tatuaggi per illustrare il mio progetto.
Qual è il menù ideale per portarti a cena fuori?
Da quando sono tornata negli Stati Uniti penso che basterebbe una qualsiasi pizza marinara, purché cucinata su suolo Italiano, seguita a ruota da un caffè come si deve.
Se fossi un quadro, di qualsiasi epoca e periodo, quale saresti?
Che domanda difficile, così tante variabili! Nonostante ami la perfezione stilistica Rinascimentale, trovo difficile immaginarmi protagonista di un quadro dell’epoca. Come donna, mi troverei infatti o esposta nuda e ammiccante per il puro usufrutto dello sguardo maschile, oppure nei panni di una improbabile Madonna, e nonostante la mia passione per l’arte sacra, non mi sembra decisamente il caso. A meno che non pensiamo alla coraggiosa Artemisia Gentileschi e dunque, in certi giorni, soprattutto nei pressi della luna piena, non mi sentirei affatto a disagio nei panni di una sanguinaria Giuditta! Ma tutto sommato se mi devo immaginare in un quadro, mi vedo di spalle a contemplare il Sublime spettacolo della Natura in un’opera di Caspar David Friedrich.
Cosa ascolti quando lavori?
Tutto ciò che posso cantare e ballare, quindi da Linoleum a Bette Davis Eyes, passando per i mantra di Nina Hagen, Billy Idol e De André. Negli Studi in cui ho lavorato sono tristemente famosa per rovinare la giornata a tutti col mio svergognato karaoke. E mi infastidisco pure se mentre tatuo non riesco a muovermi a tempo! Ultimamente in realtà sto ascoltando svariati podcasts mentre disegno a casa. Uno tra i preferiti, Death Sex & Money.
E infine manda un tuo personale saluto ai nostri lettori.
Vi ringrazio per l’interesse, se ne avrete voglia ci vedremo l’estate prossima in Italia per una serie di eventi culinari a presentazione del mio ricettario, qualche mostra e naturalmente tanto inchiostro sottopelle.